Ogni città ha i suoi rifugi. Luoghi messi lì ad arte, mete di pellegrinaggi con il cuore punto dalla nostalgia, tane segrete dove ritrovare un dolce equilibrio. Io nel mio esilio volontario lontano da casa ho collezionato una miriade di rifugi che cambio a seconda del tempo, delle mode e della stagione.
Ora ho scoperto che dall’altro lato del Rio, proprio sull’Isla de la Cartuja tra i padiglioni addormentati dell’Expo del ’92 c’è un ex monastero certosino del 1300, e se vi dico che è stupendo dovete credermi. In un silenzio quasi surreale, in un luogo che sembra dimenticato persino da Dio, tra vasche dalle acqua immobili e cespugli di canne, sorge un edificio dalla storia singolare. Da monastero a quartier generale durante l’occupazione napoleonica, fino a fabbrica di ceramica con alte fornaci di mattoni; fu l’Expo a ridargli la vita con un restauro costosissimo.
E se la chiesa del monastero era diventata il laboratorio della fabbrica di ceramica, è tutt’ora possibile scorgere la bellezza degli ori barocchi, delle ceramiche di Triana, del chiostro in stile mudéjar fino a trovare la pace nell’antico orto del monastero.
Questo luogo che ospita i fantasmi del passato e le speranze di un benessere che si è tramutato in polemiche e scandali con la chiusura dell’Expo è uno dei miei preferiti, uno dei miei tanti rifugi dove scappare e innamorarsi nuovamente della mia Siviglia.